Gli Anni Trenta, negli ultimi tempi, sono tornati di gran moda. Nel mondo del bere questo vuol dire una sola cosa: speakeasy. Gli speakeasy, chiamati così perché per entrare si doveva conoscere la parola d’ordine, erano i locali clandestini nati negli anni Trenta negli Stati Uniti, quando a causa del proibizionismo era vietata la produzione e la somministrazione di alcolici. E proprio qui sono ambientate alcune delle scene più belle dei romanzi o dei film di allora, che raccontano un’epoca.
Una location segreta, spesso nel retro di botteghe apparentemente innocue come latterie, fiorai e barbieri. Una parola d’ordine, e alcolici a non finire, il più delle volte prodotti dal gestore del locale. Quest’atmosfera borderline è stata uno dei più grandi laboratori di idee per il mondo dei cocktail: negli speakeasy degli anni Trenta sono nati alcuni dei grandi classici che beviamo ancora oggi, “old fashioned” in primis.
Quegli anni in mezzo alle due guerre, anni di musica swing e lustrini hanno ancora oggi un fascino incredibile sul nostro immaginario. Nascono e rinascono così una serie di locali che proprio a quegli anni si ispirano.
A lanciare la moda sono stati gli Usa, seguiti a ruota dalla Gran Bretagna. Dentro i nuovi speakeasy arredamento vintage, luci soffuse e barman vestiti in modo retrò, con papillon, scarpe lucide e bretelle.
Come cocktail vanno alla grande i classici a base di gin e whisky, distillati che nel nostro paese stiamo lentamente riscoprendo, dopo un lungo periodo passato in sordina. Via libera a spezie, ingredienti insoliti, abbinamenti ricercati.
Anche l’Italia negli ultimi anni ha dato il suo contributo alla nuova tendenza. L’apripista è stato il Jerry Thomas a Roma, dedicato al padre della miscelazione, quel professore che nell’Ottocento fece un grande lavoro di diffusione dei cocktail, e poi Milano, con il 1930Cocktail Bar, che mantiene la segretezza anche online, dato che digitando l’indirizzo del loro sito, si viene indirizzati alla pagina di un ristorante cinese. E Torino, con un locale aperto da poco, il The Mad Dog, in cui per entrare si deve conoscere la parola d’ordine (che si scopre sul sito rispondendo a un indovinello) e rispettare il rigido orario d’apertura.
Poi ci sono i locali nostrani che si ispirano allo stile dello speakeasy per riportare in auge bevande dimenticate: è il caso delle vermoutherie, che stanno avendo, soprattutto nel Nord Italia, una grande diffusione. Una tra tutti è la vermoutheria torinese Vermouth Anselmo, nata dal progetto di recuperare un’antica ricetta delle bevanda, nella città dove il vermouth è nato.
E se da un lato ci si lamenta che talvolta la forma prevalga sulla sostanza – tanto che si arriva ad affermare che i baristi degli speakeasy sono i nuovi baristi acrobatici, stile che andava di moda negli anni Novanta – il fascino degli anni Trenta ha il merito di avvicinare al mondo dei cocktail persone che ne sono sempre state lontane: si va nei locali per la bellezza e la piacevolezza dell’ambiente, e lentamente si prende confidenza con le materie prime, con le ricette e con i sapori di un mondo che è lontano nel tempo, ma non ha ancora finito di stupire.
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